Tra gli omicidi di mafia spietati, crudeli, il più esecrabile ed efferato fu la morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido, l’11 gennaio del 1996. A distanza di 20 anni dalla morte del figlio, la madre, Franca Castellese, cova un lutto incontenibile e non riesce a consolarsi dei tre giorni di permesso concessi a Giovanni Brusca. Lei attribuisce la colpa al marito per aver perso il figlio, un bambino che non rivedrà più e che non potrà riabbracciare. Una madre esige e, in questo caso, lei pretende che “quel mostro resti in carcere a vita. La colpa è di mio marito che non perdono. E’ colpa sua se io ho perso il mio bambino. Ha sbagliato a pentirsi? Ha sbagliato a essere mafioso.” Franca Castellese tiene con se vivo il ricordo del figlio. Con lui parla ogni momento della sua vita, a lui si rivolge mentre lavora e mentre svolge ogni attività quotidiana. “Non ho una tomba su cui piangerlo, ma lui è il mio angelo. Forse giustizia è stata fatta, quella terrena si, con decine di condanne. Ma solo Dio può fare giustizia.” Ieri l’anniversario.