Così il filo della cura restituisce alla vita, le tradizioni pasquali fanno capolino all'Hospice di Ragusa

01/04/2022
Comunicati Stampa
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“Mi avete restituito alla vita”. Parole semplici. Ma dal profondo significato. Così la
testimonianza del signor Carmelo che, dall’hospice dell’ospedale Maria Paternò
Arezzo di Ragusa, parla del filo della cura che prosegue il suo cammino, raccontando
storie che hanno i colori e i sapori della vita. Il filo della cura, infatti, rappresenta la
fiducia, la speranza e la compassione, ha il potere di dare sollievo e raggiungere
traguardi inattesi, rappresenta la cura anche quando non si può guarire e l'essere
accompagnati anche quando ci si crede soli. L'iniziativa dell’ufficio diocesano di
Pastorale della salute sta sensibilizzando e coinvolgendo sempre più persone:
rappresenta uomini e donne che loro malgrado si trovano in una condizione di
fragilità e che necessitano di supporto e sollievo dai dolori provocati dalle ferite del
corpo e dell'anima. “Il filo, infatti – chiarisce la dottoressa Antonella Battaglia,
responsabile dell’hospice e vicedirettore della Pastorale della salute – diventa uno
strumento per combattere la malattia e la sofferenza e diventa un rifugio che protegge
e custodisce, con il dolore che si trasforma e diventa opportunità. Assume varie forme
il nostro filo della cura: talvolta è una coperta di lana, talaltra un libro, un canto, una
poesia e ieri è diventato un dolce pasquale. Dentro un reparto di cure palliative, il filo
della cura è nelle mani del signor Carmelo che, fino a pochi giorni fa, credeva di non
avere più tempo; sono bastati una lista della spesa ed un carrello pieno di uova, per
riportare Carmelo a fare progetti per sé, a guardare oltre la sua sofferenza e a
restituirgli quel tempo che avrebbe voluto intensamente vivere”. In questo modo sono
state realizzate delle creazioni culinarie con i simboli della Pasqua. All’appuntamento
hanno partecipato, oltre agli operatori sanitari dell’hospice, il direttore dell’ufficio, il
sacerdote Giorgio Occhipinti, la segretaria Stefania Antoci, e il cappellano
ospedaliero, il sacerdote Salvatore Giaquinta. “In una Quaresima di pandemia e di
guerra, dove l’essere umano è vittima e carnefice allo stesso tempo – spiega don
Occhipinti – il filo della cura vuole parlare di pace e di rinascita, di cura e di sollievo
e grida forte che solo quando si riesce ad essere "umani" si può affermare di essere
restituiti alla vita”.

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