Condanne per complessivi 102 anni e 6 mesi e 4 non luogo a procedere per avvenuta prescrizione. Sono le richieste del pubblico ministero, Raffaella Vinciguerra, al Collegio Penale del Tribunale di Ragusa (presidente Vincenzo Ignaccolo, a latere Gaetano Dimartino e Fabrizio Cingolani). Si tratta del processo «Ghost trash», scaturito dal blitz del 2017 eseguito dal Gico della Guardia di finanza, coordinato dalla Procura di Catania, che sgominò la cosca mafiosa di Vittoria.
Il gruppo avrebbe avuto come scopo il controllo del mercato degli imballaggi per i prodotti dell’ortofrutta, l’intestazione fittizia di imprese e il traffico illecito di rifiuti in uno scenario riferibile al clan stiddaro dei Carbonaro Dominante.
La sentenza è attesa per il prossimo 5 ottobre.
Queste le richieste: 17 anni e 6 mesi per Giombattista Puccio; 11 anni e 6 mesi per Luigi Puccio, 13 anni per Giovanni Puccio; 11 e 6 mesi per Salvatore Asta; 10 anni per Giuseppe Buscema; 5 anni per Benedetto Puccia, Giovanni Marceca, Salvatore Monachelli, Salvatore Pisani e Carmelo Vona; 6 anni per Giuseppe Marceca; 4 anni per Giuseppina Puccio e altrettanti per Zaira Scribano. Non doversi procedere la richiesta relativa a Salvatore Cicirello, Luigi Alabiso, Carmelo Pluchinotta e Giuseppe Di Martino per estinzione del reato per maturata prescrizione. Già esaminate le posizioni di Salvatore Cicirello, Salvatore Monachelli, Salvatore Pisani, Giuseppe Di Martino e Carmelo Vona, ieri è stata la volta delle difese degli imputati per i quali la Procura distrettuale ha chiesto la condanna a pene elevate.
Nel filone del processo che è andato a dibattimento con rito ordinario (per altre posizioni è attesa la sentenza in abbreviato tra qualche giorno), le principali contestazioni riguardano reati ambientali e l’intestazione fittizia dei beni che secondo la procura sarebbero state effettuate a vantaggio del clan mafioso. Tutti gli avvocati hanno contestato la ricostruzione della Procura distrettuale.
Nodo cruciale quello relativo alla intestazione fittizia dei beni attuata da soggetti ai quali la procura riconosce esperienza criminale. Secondo le difese, nessuno avrebbe mai pensato di intestare i beni a familiari, come è emerso nel corso di questa indagine, dal momento che la norma sulle misure preventive, attivata dalle indagini avrebbe inevitabilmente bloccato tutte le attività di tutti i famigliari.
Per chiarezza, nelle attività criminali, proprio per aggirare l’ostacolo del blocco dei beni a congiunti, figli e famigliari, il prestanome è generalmente un soggetto esterno. Oltre a questa che è stata definita come una macroscopica anomalia, gli avvocati Gianluca Gulino, Santino Garufi, Giuseppe Passarello, Enrico Platania, Michele Baldi e Maurizio Catalano, hanno anche posto in evidenza che le attività di stoccaggio e smaltimento dei rifiuti venivano effettuate in aree autorizzate e con documenti ‘in regola’ e che anche nel caso in cui avessero agevolato il conferimento di materiali di varia provenienza, non solo ne avevano titolo ma lo avrebbero fatto per tornaconto personale e non certo per agevolare un clan dal momento che vengono evidenziati solo due trasporti di rifiuti sospetti, che la tipologia delle violazioni che costituirebbero singole violazioni si risolverebbe in contravvenzioni, e che non esiste nella fattispecie di reato ambientale un concorso esterno in associazione mafiosa: il ruolo di Giambattista Puccio figura chiave nell’inchiesta, che emergerebbe secondo il collegio difensivo, è più che altro quello di un padre che segue dall’interno le attività, che non decide le linee ma che organizza logistica e trasporti, che non contratta ma che lavora al fianco dei figli.
E ulteriore anomalia sarebbe consistita nelle minacce che il clan Carbonaro Dominante mise in atto con una tentata estorsione, una estorsione consumata e con l’incendio di un capannone – anche se i colpevoli non vennero mai scoperti – per il quale si superò il milione di euro di danni. Sulla determinazione dei prezzi di vendita di materiale per il confezionamento del prodotti ortofrutticoli, nulla potevano le ditte collegata alla famiglia Puccio, al momento che avevano solo i ruoli di assemblatore e distributore di determinati materiali il cui prezzo veniva deciso dalla casa madre, una società internazionale.
In questo contesto si innestano differenze di vedute in famiglia, vendette tra concorrenti ma secondo le difese, nulla che possa prefigurare una associazione mafiosa